Le modulazioni luminose degli anni Settanta di Claudio Cerritelli
Tra le ricerche strutturaliste appartenenti all’ambito pittorico degli anni Settanta, quelle condotte da Fernanda Fedi si concentrano intorno alle regole sintattiche della forma pura, alle relazioni tra ritmi geometrici e sonorità cromatiche, libere connessioni tra la costruzione analitica e la funzione dinamica dell’immagine.
Il grado di autonomia che la pittura conquista rispetto ai canoni rappresentativi che l’arte ha superato nel corso degli astrattismi contemporanei (dal suprematismo al neoplasticismo, dal costruttivismo al concretismo, dal versante optical al radicalismo aniconico) è il valore fondativo del progetto visuale che Fedi sviluppa commisurando il peso percettivo della forma alle tensioni plastiche della linea e del colore.
Nelle strutturazioni spaziali dei primi anni Settanta l’artista persegue il divenire simultaneo del quadrato come forma generativa di molteplici possibilità costruttive, in tal senso la configurazione assiale cede il passo alla funzione dinamica della diagonale, fondamento di tutte le permutazioni visuali messe a punto dal colore.
Il calcolo delle forme astratte si congiunge alla sperimentazione di rapporti cromatici accuratamente calibrati per graduare l’intensità luminosa degli incroci lineari, sottili tessiture sovrapposte all’icona primaria del quadrato-losanga, paradigma intorno al quale si articolano le variazioni modulari della forma. Quest’orientamento presuppone la continuità tra superficie dipinta e spazio circostante, sconfinamento virtuale necessario per comunicare la funzione della struttura definita come parte per il tutto, frammento simbolico della visione infinita.
Al di là di questa naturale estensione immaginativa del procedimento logico-costruttivo, sta la profonda convinzione del processo pittorico come esplorazione di un sistema spaziale che, per quanto programmabile e sostenuto da precise regole compositive, non rinuncia mai al progressivo accertamento delle correlazioni interne.
La dialettica tra determinazione della forma e sperimentazione dei mezzi necessari a cogliere la sua identità relazionale è problema creativo che Fedi indaga con vitalità intellettuale, consapevole che non può esservi invenzione formale estranea alla specifica metodologia individuale, alla particolare sensibilità creativa dell’artista.
Se si osserva la serie dei ritmi strutturali concepiti tra il 1970 e il 1973 si avverte che le declinazioni tonali e timbriche – gradualmente scandite nel loro andamento crescente e decrescente- creano energie interagenti nel campo percettivo carico di tensioni mentali ed emozionali, percorsi che si originano con precisione ottica per irradiarsi oltre il perimetro della superficie dipinta. Non si tratta solo di registrare un impulso meccanicamente cinetico, quanto di concepire il testo pittorico nella sua estensione sensoriale, implicazione totale dei sensi che pone il lettore di fronte all’esperienza formativa del colore come evento interno alla coscienza, potenziale immaginativo che va oltre la soglia dei procedimenti che la costituiscono.
In questa prospettiva di ricerca, il carattere progettuale della ricerca di Fedi è differente sia rispetto alle procedure concettuali del dipingere sia alle pratiche analitiche della pittura-pittura, la sua intenzionalità risponde piuttosto a un desiderio di sintesi che utilizza il modulo come strumento di tensione topologica, intensificazione spaziale che congiunge elementi grafici circoscritti a quozienti cromatici espansivi, allo scopo di trascendere i meccanismi di misurazione dello spazio.
Del resto, se l’artista adotta precise metodologie costruttive è per sollecitare le possibilità che esse hanno di generare dubbi e ipotesi controverse, spiragli d’interrogazione spaziale per svelare le zone nascoste del visibile, le direzioni ignote dell’atto creativo, “quella necessità –ha dichiarato l’artista- di sentirsi coinvolti nel fascino del mistero”.
Nel corso del suo coerente progetto teso a fissare energie in simmetrica opposizione, delineando mutevoli equilibri tra forze contrapposte, Fedi dilata la sfera razionale del visibile introducendo tensioni ambigue attraverso il primato sempre più assoluto della diagonale, direzione dominante che trascende ogni stabilità percettiva creando orientamenti trasversali e ascensionali. Questa scelta intende restituire visualmente l’inafferrabilità dei significati esistenziali, un massimo grado di apertura polidimensionale, una dichiarata ambivalenza delle forze percettive messe in campo, perpetua oscillazione tra partitura geometrica e scrittura cromatica, come se ogni immagine potesse essere goduta come un ordito di linee sfiorate da lievi vibrazioni.
Nelle opere realizzate tra il 1974 e il 1978 le modulazioni diagonali si caricano di valori luminosi monocromatici che accentuano l’ambigua sospensione delle forme attraverso ombre e bagliori, valenze plastiche tridimensionali ottenute con finissime stesure cromatiche, rilievi lineari di marcata sottigliezza.
Dagli intrecci strutturali nascono pulsazioni luminose che dilatano lo spazio esigendo tempi di percezione prolungati, profonda disponibilità a lasciarsi condurre dalle textures cromatiche verso stati d’incantamento, impalpabili e rarefatte risonanze dei tracciati geometrici, inquiete trasmutazioni dei dati ottici verso le soglie dell’invisibile.
Le strutture modulari acquisiscono un soffio vitale, la loro rigorosa precisione si trasforma in uno stato di apparizione dove l’andamento tissurale delle linee sembra svanire nella luce del vuoto, alludendo alla smaterializzazione delle strutture nello spazio.
La scelta di progressive cangianze cromatiche esalta l’assoluta emanazione della luce come campo totale affidato a intense bicromie, bianco-grigio, viola-rosa, blu-azzurro, misurati rapporti che superano la fissità dell’immagine attraverso effetti chiaroscurali.
La tipologia delle modulazioni luminose propone un’ampia gamma di variazioni che raggiunge il suo culmine intorno al 1977-78, quando Fedi sperimenta nuove congiunzioni e torsioni spaziali, oltre i perimetri del quadro-oggetto, a contatto diretto con la parete.
L’ipotesi è di far dialogare elementi modulari sagomati creando connessioni variabili tra le singole superfici, esperienza partecipe di quella che negli stessi anni veniva teorizzata come pittura-ambiente, aspirazione del resto già affrontata dalle avanguardie costruttiviste in poi, attraverso molteplici verifiche del rapporto tra artista e pubblico, funzione dell’arte e incidenza sociale del suo ruolo nel presente in atto.
A questi contesti storici e contemporanei Fedi guarda come naturale origine e destino del suo fervore operativo durante la fase degli anni Settanta, riflettendo con interesse intorno al dialogo tra arte e scienza, psicologia della percezione e fenomenologia estetica, teoria della forma e interpretazione semiologica.
Perseguendo soprattutto l’idea che l’artista – per trasmettere il senso del suo profondo essere – deve saper trasformare ogni cognizione razionale dei linguaggi visuali nella forza immaginativa del pensiero poetico, nell’essenza luminosa dello spazio come visione infinita.