Pensiero critico di Amedeo Anelli sui sismogrammi di Fernanda Fedi
I grigi di Fernanda Fedi: dall’intelletto alla corporeità senziente
Amedeo Anelli, Febbraio 2020
«Il corpo è ciò che non solo sfugge alle mie intenzioni, ma anche mi precede nell’azione» (Paul Ricoeur)
I primi anni Ottanta del Novecento sono un punto di raccordo fondamentale nel percorso artistico di Fernanda Fedi. L’Artista passa dal rigore strutturale, fatto di geometria, colore e luce – luce uniforme e diffusa secondo la lezione di Piero della Francesca e la rivisitazione di Antonio Calderara –, ad una ripetizione segnica insistita, in un “ostinato”, tale da far apparire questi segni come engrammi della mente, sigilli dell’inconscio. Un’urgenza di segno che pare affiorare sotto la spinta di una coazione a ripetere, e tende verso la scrittura, la scrittura di luce, la modularità scardinata dai suoi esiti geometrici. Il ponte “modulante” di questa operazione è costituito dalla serie di opere in grigio qui presentate. Mantenendo ed interiorizzando il tema della luce, si evidenzia la progressiva sparizione quindi del modulo geometrico, ridotto ad un quadrettato sempre più minimale, quadrettato invaso dalla presenza di “colature” di colore nella gamma generalmente dei rossi evocativi di dionisiaci effluvi sanguigni. Molti lavori titolano appunto Calligrammi dionisiaci o più precisamente Dioniso ha vinto, evocando la nota contrapposizione nietzschiana fra apollineo e dionisiaco. Il primo sentito come principio d’ordine di armonia delle forme mentre il secondo come spirito d’ebbrezza di esaltazione entusiastica priva di forma in quanto ordine, simmetria, ordinamento. Non a caso il seguito dei lavori della Fedi tenderanno sempre più ad essere in sé delle grandi partiture musicali di segni e di cifre: una musica muta per gli occhi, grandi rotoli del sé. È un imponente ritorno del lavoro della corporeità senziente e ctonia, sul rigore ideale ormai sentito come gabbia e riduzione: insomma una specie di via verso la liberazione. È questo un viaggio nell’interiorità della pittura in cui il segno ripetuto ed ossessivo diviene anche una sorta di memoria ancestrale, la mano danza un proprio percorso interiore, segue un proprio filo di Arianna e il pieno dei segni, il loro brulicare sulla dominante luminosa dei grigi, afferma una propria forza energetica eccedente e vitale. Questa forza eccedente si placherà nel futuro in un rigore più legato ai valori sensibili ed alle scritture, al fascino segnico, di un’araldica dell’ignoto e dell’alfabeto.
Nei processi di tecnica interna e nella loro realizzazione in azioni ed opere si ha insomma il passaggio dai valori principalmente di ordine e numero dell’intelletto alla mètis, alla sapienza corporea, con il dispiegamento di tutte le sue astuzie e forze, con l’effrazione di ogni senso del limite verso il libero fluire delle forme-segni.