Pensiero critico di Marisa Vescovo sul periodo strutturale di assenza di Fernanda Fedi
Presenza-Assenza
Marisa Vescovo (D’Ars n.90 XX, luglio 1979)
…Siamo nel 1977 i quadri della Fedi mettono così in evidenza le diverse possibilità di riflessione della luce, l’opera cambia al minimo spostamento dello spettatore, approda ad una precisa forma di illusionismo inteso come fenomeno visibile, ma proiettato sempre nell’oltre’. La luce è quindi protagonista. Essa è catturata in queste strutture-intreccio, come un mistero non totale ma relativo, si allinea sulle verticali e sulle orizzontali, sulle diagonali, viene assorbita o scivola sulle scie viola-rosa o blu-azzurre. Naturalmente non si tratta di una luce con accenti naturalistici, ma una iper-luce che vive un suo pulsare continuo, potremmo dire che respira, penetra nel nostro occhio in un attimo prima che nella nostra coscienza. Ma le opere di oggi, 1979, attraverso un ragionamento a lungo covato, arrivano a ‘diversi’ e più concettuali risultati. Ci troviamo innanzi una superficie bianca dalla quale si enuncia un ‘particolare’ (naturalmente modulare rispetto al totale della tela) che sottolinea come nel tragitto tra il ‘tutto’ e sé rimangono delle incognite. L’incognita nasce dal fatto che questa’citazione testuale’ è parte della struttura complessiva totale interna all’opera, che la Fedi cancella con un bianco-luce che nasconde alla vista, ma non elimina per la ragione, la sua presenza di fondo.
La struttura sottintesa, o meglio messa tra virgolette, diventa verifica, anche nella nella sua assenza, che il prodotto estetico non cambia. Il ‘particolare’ che fruiamo è dunque un campione sintomatico di un ‘totale’ che sta ‘dietro’, cancellato come forma, ma presente come significato semantico. Il tassello visivo (miniaturizzazione storica del lavoro precedente) mette ancora una volta in evidenza la fonte di luce che fa vibrare la superficie, ma ci da pure un’indicazione di comportamento dell’artista, il che equivale a determinare un’equivalenza di percezione-situazione.. La replicazione di un modulo cromatico, che sembra voler sfaccettare un diamante programmato, all’interno di una superficie candida, diventa quindi la spia di una presenza-assenza che si fa regola fondamentale dell’evidenza, tipica di chi crede nella matematica come forma tipica del conoscere, del dare ordine in una misura armonica, e secondo una ragione tra Pitagora e Cartesio, e che qualcuno magari vorrebbe, ancor oggi in malafede, negare alla donna.